Ormai parlare di sostenibilità ambientale sta diventando un luogo comune. Non solo perché a Parigi, nel dicembre 2015, è stato stipulato un accordo sul clima che, a partire dal 2020, per la prima volta, impegna i paesi firmatari (gli USA di Trump si sono chiamati fuori, per ora) a contenere il riscaldamento terrestre al di sotto di 1,5 gradi Celsus. Ma anche perché le colonnine di mercurio continuano a sfidare nuovi massimi rispetto ai dati storici in nostro possesso. Il fenomeno non è più solo argomento di disquisizione intellettuale tra scienziati e opinionisti più o meno competenti. È un problema che sperimentiamo ogni giorno. Il genio è uscito dalla bottiglia e s’insidia nelle coscienze delle persone e, soprattutto, dei giovani. Sono finiti i tempi in cui ad occuparsi di tematiche ambientali era solo uno sparuto movimento ambientalista che negli anni ’60 sfociò nel “Rapporto sui limiti dello sviluppo del Club di Roma (1972)”. Quel documento permise una prima presa di coscienza dei pericoli dell’utilizzo umano sconsiderato delle risorse nazionali. E non è più nemmeno un’espressione unicamente connessa allo stato di salute e di povertà dei paesi in via di sviluppo. La Commissione Brundtland dell’ONU impiegò due anni per cercare di risolvere il conflitto tra tutela dell’ambiente e sviluppo, definendo, nel 1987, la sostenibilità come un “equilibrio tra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle generazioni future di sopperire alle proprie”. Attorno a questa definizione si sono mossi gli interventi dell’ONU soprattutto a partire dagli anni ’90, quando “sostenibilità” è diventato, progressivamente, il termine della globalizzazione che è seguita alla caduta del Muro di Berlino.
Nell’ambito dell’attività di gestione di patrimoni Centro Studi Monte SA, quasi fin dalla nascita dieci anni fa, ha concentrato la sua attenzione sul concetto di sostenibilità. È il legame tra l’analisi geopolitica e quella finanziaria che ci ha portato ad individuare la protezione dell’ambiente come un percorso aggregante di trasformazione della società in un’ottica di lungo termine. Stiamo entrando in una nuova era che ha tutti i presupposti per diventare una Sustainable Era: abbiamo scelto di dare questo nome alla nostra rivista (www.centrostudimonte.com/sustainableera) come auspicio, ma anche come stimolo per un futuro globalmente migliore. Il quadro d’analisi ci viene in buona parte dall’ONU attraverso anche le molteplici organizzazioni ed iniziative che ha provocato. La rivista è infatti organizzata attorno agli Obiettivi di sviluppo sostenibile.
Più specificatamente è nell’ambito del percorso aperto nel 2005 dall’allora Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che è strutturata la nostra operatività come pure i contenuti della rivista. Annan aveva invitato un gruppo di grandi investitori istituzionali del mondo ad operare nell’ambito di un processo attraverso il quale sviluppare concetti operativi per la pratica d’investimenti responsabili. La loro mediazione ha prodotto sei principi, presentati in aprile 2006 alla borsa di New York, che ruotano attorno alla difesa dell’ambiente, della socialità e della corporate governance, termini ormai generalmente inglobati nella sigla ESG (Environment, Social and corporate Governance). È questo connubio tra stimoli che vengono dall’alto e aziende private, pronte ad accogliere nuove sfide in un’ottica di lungo termine, che ci sembra la base del percorso che questa nuova era deve intraprendere urgentemente. Gli Stati faticano ad uscire dal campo di competenza dei loro elettori, mentre le organizzazioni internazionali sono facilmente percepite come lontane dal sentire comune. Le aziende sono obbligate ad una concorrenza globale spesso distorta da comportamenti scorretti nell’affrontare i temi della protezione dell’ambiente, del rispetto delle questioni sociali nel quadro di una governance trasparente e affidabile che dia sicurezza all’azionista. Certo, non va sottovalutato il ruolo della società civile e l’impegno che ciascuno di noi deve assumersi, magari strattonato da giovani, come Greta, che ci ricordano che dobbiamo impegnarci anche per le future generazioni. Oppure scosso moralmente dall’avvertimento di personalità dal grande carisma globale come Papa Francesco, che ha dedicato la sua seconda enciclica alla salute del pianeta riprendendo i versi di San Francesco: “Laudato si’, mi signore, per sora nostra matre Terra., la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba”. Ma questa sorella- scrive il Papa – “protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. (…) I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità. (…) La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale”.
Il surriscaldamento della terra e la crisi finanziaria, poi diventata economica e sociale, scoppiata nel 2007 negli Stati Uniti, sono al centro non solo dei dibattiti che porteranno ad una nuova riorganizzazione del mondo e della geopolitica, ma a nuovi paradigmi di riferimento concettuale. Come ha scritto Jeffrey Sachs, “ogni era ha i suoi temi dominanti per quanto riguarda la politica globale. Il diciannovesimo secolo era centrato sull’industrializzazione e sull’impero. La prima parte del secolo successivo è stata quella delle guerre e della depressione. Poi è subentrata la guerra fredda. La nostra era, credo, sarà dominata dalla geopolitica della sostenibilità”.
Il gestore di patrimoni deve anticipare dove andranno i flussi finanziari. Una visione della geopolitica della sostenibilità induce a investire in quelle società che hanno una politica ambientale d’avanguardia, un’attenzione al benessere delle realtà umane nelle quali agiscono e una governance trasparente. L’approccio può forse non essere sempre redditizio nel breve termine, ma lo sarà sicuramente nel lungo periodo: un produttore che batte la concorrenza perché scarica i rifiuti in mare, quindi senza costi di smaltimento, genererà più utili nel breve. Ma il mercato si abituerà a considerare questo comportamento come un rischio estremo, penalizzando il corso del titolo. Investitori istituzionali, casse pensioni, family office e risparmiatori privati guarderanno sempre più con attenzione ai rating ESG della società che saranno sempre più stringenti. Con Sustainable Era vogliamo monitore i cambiamenti in atto e dare un indirizzo verso investimenti performanti da un punto di vista finanziario, ma anche ambientale, sociale e, fondamentalmente, umano.